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Catalizzare l’apprendimento: svelare le tassonomie chiave per definire obiettivi di apprendimento efficaci

La società in cui viviamo ha un ritmo sempre più veloce, trasformazioni e innovazioni sono all’ordine del giorno e la necessità di sviluppare nuovi sistemi di competenze è urgente e strategica.
Per questo motivo, la formazione è diventata uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il mercato del lavoro. 

L’idea del “finire gli studi” per poi andare a lavorare è superata: oggi è richiesto un costante aggiornamento in molteplici ambiti professionali.
Non è un caso che uno degli obiettivi dell’agenda ONU 2030 sullo sviluppo sostenibile sia quello di strutturare ambienti educativi efficaci per garantire un’educazione di qualità.
Da dove partire?

Una proposta sicuramente interessante come punto di partenza è quella di definire in maniera chiara gli obiettivi di apprendimento del percorso da sostenere, anche conosciuti come intended learning outcomes.

In concreto, si tratta di porsi le seguenti domande durante la fase di progettazione: “che tipo di processo cognitivo voglio attivare?” e “che tipo di conoscenza voglio costruire insieme agli studenti?”.

Nel corso del tempo la psicologia dell’educazione ha elaborato molte tassonomie per aiutare a indirizzare la formulazione degli obiettivi: vediamo le due più utilizzate e i vantaggi che possono presentare in fase di progettazione.

La tassonomia di Bloom

Pubblicata nel 1956, la tassonomia di Bloom parte da un approccio cognitivo e viene solitamente presentata come una piramide di apprendimento alla cui base vi è l’abilità più facile da raggiungere e al vertice la più complessa.

Per ciascun gradino della piramide e delle relative abilità sono poi associati verbi del relativo campo semantico.  
Partendo dal più basso al più alto, i sei gradini della scala sono:

  1. Conoscenza: i verbi che si associano a questa abilità sono “ricordare, definire, identificare, definire, memorizzare, ripetere….”
  2. Comprensione: i verbi che si associano a questa abilità sono “classificare, descrivere, spiegare, riconoscere, tradurre….”  
  3. Applicazione: i verbi che si associano a questa abilità sono “implementare, eseguire, risolvere, interpretare
  4. Analisi: i verbi che si associano a questa abilità sono “differenziare, organizzare, comparare, testare…”
  5. Valutazione: i verbi che si associano a questa abilità sono “argomentare, giudicare, selezionare, sostenere…”
  6. Creazione: i verbi che si associano a questa abilità sono “disegnare, assemblare, costruire, sviluppare, formulare….”

Facciamo un esempio: se stiamo progettando un corso base per diventare chef, gli obiettivi di apprendimento che mi porrò saranno di conoscenza e comprensione di tutte le tipologie di carboidrati, proteine, verdure, legumi, spezie, dei tempi di cottura ecc…
Per un corso avanzato, invece, gli obiettivi saranno quelli di valutare gli abbinamenti culinari
o creare un menù con piatti speciali.

Il vantaggio principale di progettare secondo un’ottica “scalare” è quello di comprendere come l’apprendimento del discente progredisca man mano.

La tassonomia di Fink

La tassonomia di Fink (molto più recente, pubblicata 2013) comprende ma supera la dimensione cognitiva, perché interpreta l’apprendimento come un processo interattivo.
La sua rappresentazione è paragonabile ad una torta divisa in 6 “fette” uguali; al centro posizioniamo l’apprendimento definito dall’autore “significativo”, ovvero in grado favorire un cambiamento duraturo. 

Tipicamente viene rappresentata con una circonferenza suddivisa in sei spicchi (simili appunto alle fette di una torta). Gli spicchi dal lato destro sono vicini a quelli della tassonomia di Bloom, perché troviamo la conoscenza fondamentale, l’applicazione e l’integrazione.
Gli spicchi dal lato sinistro rappresentano invece una novità e racchiudono aspetti più relazionali:

  • la dimensione umana (“cosa dovrebbero imparare gli studenti su di sé e sugli altri?”);
  • la cura (“quali valori o interessi si spera che gli studenti prendano a cuore?”);
  • la capacità di imparare ad imparare (“quali strategie di apprendimento devono sviluppare gli studenti per diventare delle persone in grado di apprendere in maniera autonoma all’interno di una certa materia?”).

Torniamo un attimo all’esempio del nostro corso per diventare chef: ulteriori obiettivi potrebbero essere comprendere i propri punti di forza e le proprie aree di criticità in cucina, sviluppare valori legati all’agricoltura sostenibile, creare un piano per l’aggiornamento sull’utilizzo di ingredienti. 

I vantaggi nell’utilizzare questa tassonomia sono due:

  • riconoscere che le esperienze di apprendimento possono mescolare tra di loro diversi aspetti della conoscenze, non essendo necessariamente un processo lineare;
  • evitare che esistano obiettivi di serie A (i più alti della scala di Bloom) e obiettivi di serie B (i più bassi) perché il processo di apprendimento non è concepito come una gerarchia.
Valorizzare gli aspetti della conoscenza 

 

Da quando è stata rilasciata, ossia nell’ultimo decennio, la tassonomia di Fink, essendo più olistica, consente di aumentare l’interesse degli studenti e l’importanza attribuita alla materia, aiutando a cogliere aspetti del sapere che sono richiesti nel mondo del lavoro ma sono talvolta dati per scontato dalle aziende come già acquisiti.

Entrambe queste tassonomie hanno come presupposto la necessità di progettare e sviluppare dei corsi learning-centered, anziché content-centered.
Per raggiungere questo obiettivo, è importante partire dalla domanda “Cosa desidero che gli studenti siano in grado di fare alla fine del mio corso?” invece che chiedersi “Quali contenuti voglio trasmettere?”.

Stabilire dei chiari obiettivi di apprendimento è il primo passo per stabilire quali attività far svolgere agli studenti: un ribaltamento di prospettiva, quasi copernicano, che mette al centro la persona che apprende, anziché l’oggetto dell’apprendimento.

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